Liberalizzazioni Governo Monti: cosa cambia per gli Avvocati
Dura opposizione al decreto sulle liberalizzazioni anche da parte degli avvocati. La categoria dei forensi proprio non ci sta alla liberalizzazioni sulle professioni varate dal Governo Monti. Anche gli avvocati annunciano proteste e opposizioni verso i cambiamenti che riguarderanno il loro esercizio della professione. Ma in pratica cosa cambia per gli avvocati italiani? Da anni solo al centro delle polemiche per il numero, le modalità d’accesso all’albo professionale e per i tariffari, ma vediamo cosa prevede per loro il decreto sulle liberalizzazioni:
-abolizione delle tariffe minime
-possibilità di società con maggioranza di avvocati non iscritti all’ordine
– retribuzione dei praticanti
-modalità d’accesso alla professione.
E’ su questi quattro punti che si basano le liberalizzazioni del Governo Monti, ma anche le proteste della categoria.
Per quanto riguarda le tariffe minime, in parte sono già state abolite dal decreto Bersani (2006), tant’è che oggi i clienti possono negoziare la parcella per gli avvocati, che però restano applicabili al gratuito patrocinio e alla liquidazione giudiziale: ovvero quando spetta al giudice stabilire il compenso. Secondo gli avvocati sarebbe sbagliato e nocivo abolire la tariffe stabilite dall’Ordine perché verrebbero meno quei criteri oggettivi, inducendo troppi elementi di arbitrarietà nella decisione delle parcelle per le prestazioni degli avvocati.
Previsto dal decreto liberalizzazioni c’è anche l’apertura per la costituzione di società anche a maggioranza di non iscritti all’albo professionale. La decisione presa da governo Monti nasce dalla volontà di creare un mercato più libero e concorrenziale, con delle tariffe più basse in favore dei cittadini. Ma gli avvocati non ci stanno. Per gli addetti ai lavori infatti, tale provvedimento oltre a svilire la professione potrebbe essere anche pericoloso: permettendo ad avvocati irradiati dagli albi di poter continuare ad esercitare la professione. Senza contare che in questo modo l’esercizio della professione verrebbe quasi equiparato ad un qualsiasi altro esercizio commerciale e le società potrebbero essere gestite anche da grandi gruppi finanziari.
Per quanto riguarda i praticanti, anche questi finiscono molto spesso per essere dei lavoratori di fatto, ma senza un compenso. Nonostante questo gli avvocati non sono d’accordo con l’imposizione per legge di una retribuzione minima da impartire ai praticanti.
L’abolizione dell’esame per accedere all’ordine resta un tabù: quando il governo Berlusconi ne chiese l’abolizione venne giù il mondo. Ora con le liberalizzazioni c’è stato qualche piccolo cambiamento alla modalità d’accesso: più breve il periodo di tirocinio (massimo 18 mesi) che potrà essere svolto anche durante il periodo di studio accademico. La risposta degli avvocati? In questo modo l’accesso alla professione diventa troppo semplice e si rischia la massimizzazione.